Il documentario “5x7 – il paese in una scatola”, di Michele Citoni , in concorso nella 12ma Mostra di cinema etnografico ETNOFILMfest chiusa ieri a Monselice (Pd), ha ricevuto la Menzione speciale della giuria. «Attraverso un'elaborata documentazione fotografica» nel film di Citoni la storia personale del fotografo e antropologo Frank Cancian «si fonde con storiche immagini di persone e luoghi in bianco e nero che riprendono a raccontare tradizioni e risvolti sociologici del Mezzogiorno italiano attraverso le voci e i volti del presente»: così scrivono, nella motivazione, i giurati Donatella Davanzo, antropologa culturale e fotografa documentarista, Luca Immesi, filmmaker e produttore, e Eduardo Masset, argentino, documentarista e creatore del Festival Internacional de Cine de la Patagonia FICP.
Il film di Citoni aveva già partecipato, in quel caso fuori concorso, al “Laceno d'Oro” di Avellino, festival cinematografico di primaria importanza nel Mezzogiorno nato nel 1959 per iniziativa di Camillo Marino e Giacomo d’Onofrio e con l'impulso decisivo di Pier Paolo Pasolini. È stato invece inserito in concorso nel festival veneto diretto dal regista e antropologo Fabio Gemo, appuntamento quasi unico a livello nazionale per la sua specifica caratterizzazione etnografica, che quest'anno ha selezionato 10 film tra circa 450 titoli.
L’edizione 2019 di ETNOFILMfest è stata dedicata al ricordo del regista Luigi Di Gianni, scomparso il 10 maggio scorso, che nei suoi documentari – a partire da “Magia lucana” del 1958 – ha rappresentato il sud anche grazie all'amicizia e alla collaborazione con l’antropologo Ernesto De Martino. Ed è un altro antropologo, lo statunitense Frank Cancian, a raccontare la propria esperienza del sud d’Italia nel
documentario “5x7 – il paese in una scatola”: il film racconta la realizzazione delle 1801 foto scattate da Cancian a Lacedonia (Av) nel 1957 e la nascita, sessant'anni dopo e alla presenza dello stesso Cancian, delpiccolo museo promosso dalla Pro Loco “Gino Chicone” che espone le foto e ne custodisce i negativi. Il filmsi avvale di diversi preziosi contributi, a cominciare dal montaggio di Roberto Mencherini e dalle musiche di KuNa e Pasquale Innarella Quartet, ed è stato prodotto dal regista Michele Citoni in collaborazione con ilMAVI - Museo Antropologico Visivo Irpino e con l'associazione LaPilart.
Attorno allo straordinario fondo fotografico del MAVI è iniziato dal 2017 un programma di iniziative culturali. Tra queste, il concorso-mostra annuale di fotografia documentaria “1801 passaggi” organizzato da LaPilart, la cui terza edizione sarà lanciata nei prossimi giorni.
Elisa Giammarino
Foto di Michele Mari
L’appuntamento è la sera del 31 maggio a Monselice, in provincia di Padova, nell’ambito della dodicesima edizione dell’ETNOFILMFest, festival pressoché unico a livello nazionale dedicato al cinema documentario etnografico e diretto dal regista e antropologo Fabio Gemo. L’edizione 2019 – che si apre oggi 30 maggio e si chiude il 2 giugno – è dedicata a Luigi Di Gianni, il grande documentarista scomparso il 10 maggio scorso che ha rappresentato nei suoi lavori il sud e collaborato con l’antropologo Ernesto De Martino.
Ed è un altro antropologo, lo statunitense Frank Cancian, a raccontare la propria esperienza del sud d’Italia nel documentario del romano Michele Citoni, “5x7 – il paese in una scatola” (montaggio di Roberto Mencherini), in concorso all’ETNOFILMFest insieme ad altri 9 titoli e in programma il 31 alle 22.15 nel complesso monumentale San Paolo di Monselice. Il mediometraggio di Citoni – prodotto in collaborazionecon il MAVI Museo Antropologico Visivo Irpino e LaPilart– racconta la realizzazione delle 1801 foto di FrankCancian a Lacedonia (Av) e la nascita del piccolo museo, promosso dalla Pro Loco “Gino Chicone”, cheespone le foto e ne custodisce i negativi, e che attorno ad esse ha iniziato dal 2017 un programma di iniziative culturali insieme all’associazione LaPilart.
«Tutto nasce da un’esperienza giovanile di Cancian risalente al 1957», spiega il regista: «ancora ventiduenne e appena laureato, Frank prima di intraprendere gli studi specialistici in antropologia era un fotografo autodidatta e avrebbe voluto proseguire la carriera di fotografo documentario. Aveva già una grande sensibilità etnografica e, arrivato a Lacedonia quasi per caso, scattò nel corso di sette mesi queste bellissime fotografie raccontando molti aspetti della vita quotidiana di una comunità rurale nel pieno di un’epocale passaggio di trasformazione. Un patrimonio visivo straordinario che però è rimasto per decenni in una scatola, perché l’autore aveva poi deciso di percorrere un’altra strada professionale come antropologo economico, che lo portò a svolgere un trentennale lavoro sul campo in Messico. Alcuni lacedoniesi –prosegue Citoni – hanno riscoperto le 1801 fotografie quasi sessant’anni dopo e con la fondazione del MAVI ne hanno sancito il grande valore, che io penso risieda non solo nel loro carattere di testimonianza storico-antropologica ma anche nella loro qualità formale ed espressiva e nella possibilità di farne uno strumento per promuovere la cultura critica dell’immagine».
Michele Citoni è un regista con molti anni di esperienza nel documentario cosiddetto “di creazione” ed ha partecipato, con i suoi film, a numerosi festival internazionali. Ha stretto un forte legame sentimentale con i territori irpini, dove ha collaborato con i festival “Cairano 7x” e “CarbonAria 2012”, con il MAVI e l’associazione LaPilart di Lacedonia, con il gruppo di progettazione +tstudio/rihabitat di Aquilonia, partecipando attivamente a progetti e vertenze territoriali e portando avanti una più che decennale attività di placetelling, testimoniata da diverse opere audiovisive e soprattutto da documentari. Tra questi: “Terre in moto” (2006), un viaggio nei paesi dell’Alto e Medio Sele più segnati dal sisma dell’80 e dal lungo post-sisma; “Avellino-Rocchetta, sospensione di viaggio” (2014), che intreccia il singolare racconto di una storia di emigrazione con le immagini della battaglia delle associazioni contro la dismissione della ferrovia storica voluta da De Sanctis; “Traduzioni” (2016), una testimonianza del possibile dialogo fra la tradizione artigianale e il design e l’arte contemporanea, come via di sviluppo locale e occasione di rigenerazione dei borghi abbandonati.
«Da anni attraverso questi luoghi cercando forse qualcosa di me stesso», riflette il regista romano, che cosìspiega la sua curiosità nei confronti di Cancian: «venuto a conoscenza delle foto di Frank, scattate sessant’anni fa proprio in questo territorio, ho voluto incontrarlo e filmarlo per trovare in questo fotografo/antropologo, osservatore estraneo ma partecipante come me, una risonanza che mi aiutasse a rispondere alla classica domanda dello scrittore-viaggiatore Bruce Chatwin: “che ci faccio qui?”».
Elisa Giammarino
Foto del MAVI di LUPUS IN FABULA
Chi sono i Santi Patroni di Lacedonia e quali Santi ne sono i protettori? Su tale domanda corre una certa confusione sulla quale, con queste poche righe, spero di fare chiarezza. Pare che la diocesi di Lacedonia, nel suo periodo iniziale, si si sia affidata alle cure patronali, come riporta il Palmese, di Sant’Antonio Abate. Non c’è alcun modo per verificare tale notizia, ma io la accolgo per vera, considerata l’esistenza, fino alla fine del 1600, di una importante Chiesa a lui dedicata, quella nella quale fu celebrato il Giuramento dei Baroni ed in cui furono sepolte le spoglie mortali del Servo di Dio Giacomo Candido, Vescovo di Lacedonia morto nel 1608 in odore di santità. Fu poi abbattuta perché in quel luogo si scelse di impiantare la fabbrica della nuova Cattedrale con il suo campanile lapideo, ovverossia quella attuale.
Quando San Nicola di Myra abbia preso il posto di Sant’Antonio non è dato saperlo con certezza, ma si pensa che egli sia stato elevato a Patrono nella seconda metà del 1400, in seguito al devastante sisma del 1456, visto che fu riconsacrata in suo onore una Chiesa con portale gotico precedentemente dedicata a San Giovani Battista: ed il portale è purtroppo il solo elemento architettonico rimasto della originaria struttura, riedificata una infinità di volte in grazia dei periodici terremoti. Peraltro è uno dei santi che figurano nel Trittico quattrocentesco, insieme al Battista.
Dobbiamo attendere qualche secolo prima che San Filippo Neri diventasse Compatrono e Protettore. A tal proposito vorrei rilevare l’opera di ingenua disinformazione, certamente in buona fede, che taluno diffonde a mezzo web, asserendo che subito dopo il terremoto de quo i lacedoniesi, delusi da San Nicola, abbiano proclamato protettore San Filippo.
Peccato che Filippo Neri vide la luce a Firenze soltanto nel luglio del 1515 e che fu elevato agli onori degli altari nel 1622.
In realtà il culto filippino trova i suoi prodromi certi nella presenza a Lacedonia, dal 1606 al 1608, del Vescovo Giacomo Candido, che era stato suo discepolo presso l’oratorio romano, stante però il fatto che San Filippo fu proclamato ufficialmente Compatrono e Protettore soltanto l’8 di settembre del 1783, come riportano atti ufficiali ai quali ancora abbiamo accesso diretto. Quindi la sua chiesa è di quell’epoca.
È tempo di dichiarazioni fiscali e si moltiplicano gli appelli alla destinazione del 5x1000, come è giusto che sia. Senza nulla togliere ad importanti e benemeriti Enti no profit, io comunque ritengo che ognuno dovrebbe dichiarare la volontà di destinare tali esigue somme, che sono attinte alle tasse versate senza alcun aggravio ulteriore, alle organizzazioni che in qualche maniera operano nel proprio territorio, al fine di migliorare la qualità di vita delle comunità. Per questo non esito a promuovere l'iniziativa della Pro Loco "G. Chicone" di Lacedonia, che di recente ha ottenuto lo status di A. P. S. (Associazione di Promozione Sociale) e che dovrebbe essere la naturale destinataria del 5x1000 dei lacedoniesi. In verità - e lo dico per sofferta esperienza personale - operare nel sociale a Lacedonia talvolta non è semplice, ma è sempre e comunque appagante, specialmente quando i risultati si riflettono in maniera positivamente lampante sulle dinamiche sociali. La "G. Chicone", infatti, da qualche anno ha compiuto un notevole salto di qualità, soprattutto aprendo il MAVI, che si candida ad essere un centro di studi antropologici, ma in genere culturali, di primo livello, specialmente se si tiene conto della stipula di un protocollo d'intesa con l'Università degli Studi di Salerno. Molto fa ed organizza anche sul fronte delle tradizonali feste paesane, dal carnevale alla "rottura della pentolaccia (pignata), alle escursioni alla scoperta del patrimonio ambientale. Molto di più potrebbe fare se vi fossero le risorse economiche necessarie, una delle cui fonti potrebbe essere proprio il 5x1000. È da specificare che esso non ha nulla a che spartire con l'8x1000, che può essere destinato come d'abitudine.
Per destinare il 5x1000 alla Pro Loco "G. Chicone" di Lacedonia nella dichiarazione va indicato il codice fiscale 91000530641.