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VINCENZO LA ROMA

«Quanto sia bello vivere nei nostri paesi può capirlo soltanto chi è stato costretto ad andarsene!» Parola di Vincenzo Zichella, classe 1937, emigrato da Lacedonia in Gran Bretagna nel lontanissimo 1962. E non si tratta solo di nostalgia, ma anche e soprattutto di qualità dei rapporti umani. «Se si resta soli nella civilissima Inghilterra si assapora l’amaro gusto della solitudine autentica, mentre qui, uscendo di casa, qualcuno che ti tiene compagnia lo trovi sempre». E per Vincenzo l’interazione con l’umanità è valore fondamentale, così come l’aiuto da prestare alle persone che la vita ha reso più fragili. Pur essendo un ottimo cuoco, egli scelse di esercitare, per decenni, la professione di infermiere presso un ospedale pediatrico, ove si prendeva cura soprattutto dei bambini affetti da distrofia muscolare. Ma, paradossalmente, una delle grandi felicità della sua vita, la nascita della sua nipotina Dana, coincise con il massimo dei dolori. In grazia di un errore medico, la neonata rischiò il soffocamento all’atto del parto: il suo cervello restò per lunghi attimi senza il necessario apporto di ossigeno, ragion per la quale, per circa dodici anni, pur non essendone state lese le facoltà mentali, la bimba subì la paralisi totale degli arti inferiori, costretta su una sedia a rotelle. Ma Vincenzo, forgiato nella fucina del sacrificio, portatore di sentimenti forti, trasmessi alla prole, non si è affatto perso d’animo. Accanto alla figlia e alla nipote ha girato prima l’Europa, per poi approdare negli USA, nel solo luogo e dal solo medico in grado di effettuare un’operazione chirurgica difficilissima, un primario di origine cinese, il dr. Palk. Circa ottantamila euro il costo dell’intervento e della permanenza, molta parte del quale coperto proprio dai risparmi di una vita di Vincenzo. L’amore di un nonno questi miracoli li compie: da un paio di anni circa sua nipote Dana ha cominciato a tenersi in piedi e quindi, pur con fatica, a deambulare autonomamente. «Emigrare è costato enormi sacrifici e sofferenze di non poco conto – sospira Vincenzo – ma se questo era il prezzo da pagare perché mia nipote potesse tornare a camminare, allora penso di aver ben impiegato la mia intera vita». Una vita fatta di lunghi turni di notte in ospedale e di doppi lavori diurni, senza mai cedere, senza mai perdere il buon umore. Ma, ancora un paradosso ha atteso al varco Zichella. Ha vissuto tutta la sua esistenza lavorativa in Gran Bretagna, ma a riconoscerne i meriti è stata la sua Patria, l’Italia che egli tanto ama, ove è stato insignito del titolo di Maestro del Lavoro d’Italia. La sua storia e quella della bambina sono diventati un libro in lingua inglese dal titolo “Dana’s Wolk”, ovvero “Il Viaggio di Dana”. Ma anche, se vogliamo, il viaggio di nonno Vincenzo!

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CIRO IL GRANDE

IERI

 

Compie oggi 80 anni Ciro Autorino, detto "Scatozza", il mitico calciatore degli anni settanta, il prof. di educazione fisica di intere generazioni di studenti.

Chi ha mai visto da vicino un uragano? Chi si è trovato mai nell’occhio di un ciclone? Negli anni settanta il campo sportivo di Lacedonia fu il proscenio sul quale si abbatté un “tornado” chiamato Ciro. Dopo una breve militanza nella Folgore, qualcuno ebbe l’ardire di affermare che Ciro il Grande era di età ormai troppo avanzata per praticare il calcio. Non l’avessero mai detto. La reazione fu quella di un condottiero di razza. Non una semplice squadra, ma una “legione” in un batter d’ali fu creata dal nulla. La celeberrima “National”. Organizzata nelle falangi d’avanguardia, cui spettava il compito di sconfinare negli accampamenti nemici per seminare il panico e sparare cannonate in porta, di centrocampo, con compiti di organizzazione, logistica e genio pionieri, e quelle di retroguardia, il cui fulcro centrale era costituito proprio dal generalissimo, che elevava bastioni, cavalli di frisia e trincee, la squadra trovava i suoi momenti di maggior furore quando era chiamata, nei tornei interni, a fronteggiare le Onde Rosse, che finivano per infrangersi sui potenti contrafforti targati National.

Che dire di Ciro Autorino? Ti vogliamo bene, carissimo amico! E, al di là dello scherzo, hai dimostrato che lo sport, come molte altre branche dell’esistenza umana, può fregarsene abbondantemente dell’anagrafe.

BUON COMPLEANNO CIRO!

PS. “Me uagiù, la formazion’ la fazz’ io”

 

CIRO

OGGI

 

CIRO1

OGGI QUANDO PASSA UNO IETTATORE

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Compass017

 

Un anno fa ci lasciava Filippo Pagnotta, conosciuto a Lacedonia con l’appellativo di “Filippo la guardia”, tanto che agli autoctoni viene spontaneo vestire dei suoi caratteri somatici l’idea stessa di “vigile urbano”. Una persona addivenuta al rango di “personaggio” simbolico, insomma, come per quel che concerne l’Arma dei Carabinieri è avvenuto con il mai dimenticato appuntato Ungolo. Pertanto ancora vivo è il ricordo dell’intera comunità. Una ricchissima aneddotica è associata alla figura di Filippo Pagnotta, che rivive nel ricordo vestito di sorridente mestizia che diluisce la nostalgia per i tempi che furono e rende più vivo il ricordo di una persona veramente per bene e sostanzialmente benvoluta da tutti. Ciò accade perché, quando scompare una persona così saldamente legata alla memoria del passato, sembra dileguarsi una parte stessa di quel passato, la qual cosa lascia, sia pure in maniera impercettibile, una sorta di senso di vuoto. E dunque si rammenta di quando, chiamato ad occuparsi dell’ordine pubblico in occasione delle partite disputate della mitica e fortissima “Folgore Lacedonia”, egli si trasformava nel primo e più acceso dei tifosi, pur tenendo sempre un saldo contegno, a stento represso quando suo figlio Rocco, granitico mediano di quella compagine sportiva, si produceva in qualche giocata che stimolava il suo orgoglio paterno. O si racconta delle volte in cui egli è stato costretto, in virtù del suo ruolo e suo malgrado, a difendere dall’ira dei tifosi taluni arbitri che egli per primo avrebbe fatto segno quanto meno di accesi improperi. Era fermamente ligio al suo dovere, infatti, e talvolta alquanto severo, per quanto la sua apparente severità fosse in realtà temperata da una grande umanità. Intere generazioni di bambini che giocavano in strada non preoccupandosi minimamente di fracassare finestre, infatti, ne temevano l’arrivo improvviso, perché egli fingeva di sequestrare loro il pallone, che poi immancabilmente restituiva ai genitori.
Caro Filippo, vivrai per sempre nel nostro ricordo!
Parola di Lupo Irpino!

 

Compass018

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Blog a cura del Dott. Michele Miscia

 

UNIONE NAZIONALE PER LA LOTTA CONTRO L’ANALFABETISMO

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Accreditato presso il MIUR ex art. 66 del vigente C.C.N.L. ed ex artt. 2 e 3 della Direttiva Ministeriale 90/2003,

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