Manifestazione ben riuscita quella che il 22 agosto ha restituito vita al sogno di una rinascita della tratta ferroviaria "Rocchetta/Lacedonia - Avellino", almeno a fini turistici. Presenti VINICIO CAPOSSELA, i rappresentanti di eterogenei Comuni, primi tra i quali quelli direttamente coinvolti, di Associazioni promotrici e non, oltre a moltissimi altri cittadini.
Sia consentito ora a LUPUS IN FABULA di indossare gli abiti inusuali dell'avvocato del diavolo (cosa che peraltro ci piace poco). E dunque, premettendo che è tutto molto bello e suggestivo, dobbiamo pur porci qualche domanda: ci chiediamo se la linea sarà riaperta, almeno a fini turistici, per lunghi periodi dell'anno o se invece l'evento si tiene una tantum. Laddove la beneaugurata ipotesi di una riapertura della stazione abbia a compiersi, diventando, più che cimitero della memoria, luogo di vita culturale permanente, dovremo continuare da Rocchetta e Lacedonia a "circumnavigare il globo" per raggiungerla o sarà ripristinata la rotabile che dal "bivio" tra i due paesi lungo la provinciale conduce allo scalo ferroviario? Detto ciò, ci facciamo latori dell'invito rivolto da Enti comunali e Associazioni promotrici a partecipare il 27 agosto alla nuova manifestazione di questa due giorni indimenticabile.
Anni di battaglie per la riapertura della tratta ferroviaria Rocchetta/Lacedonia - Avellino, a quel che sembra, hanno dato i loro frutti, perché, finalmente, qualcosa pare essere emerso dalle paludi della burocrazia italiana, che notoriamente si nutre di numeri trascurando gli aspetti culturali, umani e spesso anche economici delle situazioni. Merito, questo, che va attribuito ad una straordinaria sinergia tra associazioni, prima tra le quali InLocoMotivi, di Pietro Mitrione, nata proprio con tale scopo sociale, che ha saputo coagulare ed attrarre intorno a sé il consenso sociale ed anche politico indispensabile per riaprire una questione che sembrava già abbondantemente chiusa. Anche il film L'Ultima Fermata, di Giambattista Assanti, certamente è servito a rinfocolare un'attenzione sopita. E dunque ecco che la tratta de quo finalmente sembra essersi trasformata in attrattore turistico: una opzione minima che però offre slancio ad un'azione che non troverà certamente la sua fine. Da domani, 22 agosto, la Rocchetta - Lacedonia riprenderà vita, come da indicazioni riportate nella esaustiva locandina, nella quale sono riportati tutti gli Enti, pubblici ed associativi, che hanno prodotto tali risultati.
Fino agli anni cinquanta del secolo scorso non esisteva altro modo per compiere lunghi viaggi se non quello ferroviario. Nella nostra Irpinia la strada ferrata più importante, ma meglio è dire la sola, quella che ha visto centinaia di migliaia di nostri conterranei abbandonare le proprie terre per cercare fortuna in un ignoto altrove, era proprio la Avellino – Rocchetta Sant’Antonio/Lacedonia, d'un tratto inopinatamente chiusa al traffico in nome di un incomprensibile anelito al “risparmio”. Nei fatti fin da subito si affermò che tale linea avrebbe potuto costituire un importante attrattore turistico, ma farlo comprendere ai burocrati di certa politica è stato come pretendere che un neonato comprenda le teorie di fisica quantistica. Quante lacrime sono state versate in quelle stazioni e quante storie hanno avuto inizio o fine: sarebbe impossibile raccontarle tutte. Tuttavia una è veramente simpatica.
Anni cinquanta. Un vecchio contadino sta per salire in vettura quando dai diffusori della stazione si annuncia «I signori viaggiatori sono pregati di prendere il treno che è in partenza».
Udito ciò il vecchio scende. Passa un altro treno, ed un altro ancora, e la storia si ripete, finché il capostazione non chiede al vecchio:
«Nonno, ma voi dovete prendere il treno?»
«Sì, devo andare ad Avellino».
«E perché non avete preso i treni che sono passati?»
«Perché la voce ha detto che i signori devono salire sul treno, ma io non sono un signore, io sono un contadino. Quando passa il treno dei cafoni?»
La persona dalla quale ho appreso tale aneddoto mi ha giurato che è vero e non ho alcun motivo per non crederci. Fatto è che con la chiusura della linea ferroviaria gli inutili idioti responsabili di tale atto hanno annichilito non solo una grande storia, ma centomila microstorie di gente comune.
LUPUS IN FABULA porge i complimenti alle Associazioni e agli Enti coinvolti ed esprime la propria soddisfazione.
Addentrandosi nel dedalo dei vicoli, un vero labirinto, che compongono il nucleo medievale del centro storico di Lacedonia, ci si imbatte, spesso, in antichi portali che recano simboli alla loro sommità. Da essi, se correttamente interpretati, si possono ricavare notizie attendibilissime sulle famiglie che abitavano tali dimore e, nel caso di edifici pubblici o di culto, sulla destinazione d'uso del fabbricato. Le pietre sono molto loquaci, e talora anche estremamente eloquenti, e riescono nell'intento di farsi capire alla perfezione, sempre ammesso che chi tenta di ascoltarle sia dotato di un udito affinato.
Questo, ad esempio, è lo stemma araldico della famiglia cui si deve la costruzione della cosiddetta "Caserma Vecchia". Il primo elemento che appare evidente è l'assenza di una data o almeno delle iniziali di un qualche nome. Questo ci lascia supporre che non se ne sia avvertito il bisogno perché la famiglia era molto conosciuta in loco. Si tratta certamente di "gentili", ovvero di piccola nobiltà locale, votata all'arte della guerra, giacché sono ben due i richiami all'attitudine marziale: l'elmo di un'armatura medievale in alto e una mano che sorregge una lancia in basso. Nel mezzo, invece, ci sono tre gigli, i quali, come è noto, costituiscono, dall'epoca dei regnanti Capetingi di Francia, simbolo di regalità. È dunque possibile che tale famiglia fosse di origini francesi, considerato che molti cognomi lacedoniesi richiamano direttamente alle dominazioni d'oltralpe del Regno di Napoli. Tuttavia la magnificenza dello stemma mi dice di un soverchiante orgoglio familiare e di un'importanza tutto sommato limitata al solo centro di Lacedonia. In altri termini, maggiora se stesso nei simboli che non ha altra alternativa, oggi come ieri.
I due simboli che campeggiano sulla parte superiore di un arco gotico a sesto acuto, quello della Chiesa di San Nicola, uno dei quali, raffigurante la croce gigliata, costituisce chiave di volta dell'arco stesso, mi hanno dato un bel po' da pensare. Alcun tempo è trascorso da quando, accompagnando una comitiva in visita a Lacedonia, una persona, evidentemente addentro a certe problematiche, avanzò l'ipotesi che potesse trattarsi di due simboli dei Cavalieri Templari: l'Agnus Dei e la Croce, appunto. Egli suffragava la sua ipotesi con la considerazione dell'esistenza di innumerevoli commende templari nella vicina Basilicata. Ci ho pensato e ripensato e alla fine mi sono convinto che tale eventualità è del tutto da scartare. Piuttosto io ritengo, in linea con le fonti storiche disponibili, che la chiesa oggi dedicata a San Nicola fosse stata in un primo tempo consacrata a San Giovanni Battista, precedente Patrono di Lacedonia. Lo starebbero a dimostrate proprio il simbolo dell'Agnello, che caratterizza la figura del Battista, ed il fatto che i Templari usavano la Croce Greca e non quella Gigliata.
Quella raffigurata è l'epigrafe che campeggia sull'ingresso della diruta cappella di San Pasquale. Almeno così la chiamavano per antonomasia i lacedoniesi. In realtà la legenda in lingua latina ci dice che essa è dedicata alla Vergine Maria del Monte Carmelo. Inoltre ci offre notizie certe circa il committente, il sacerdote don Francesco Antonio, esponente di una Familia Gentilium, ovvero appartenente alla piccola nobiltà locale, quella dei Papaleo. Anche l'anno di costruzione (o di ristrutturazione) è riportato: si tratta del 1734.
Questo stemma è a mio parere estremamente significativo. Esso non predica appartenenze nobiliari, ma indica una precisa abilità del suo proprietario: quella di scrivere, cosa non affatto comune nel 1766, anno riportato in legenda. Il solo simbolo presente consiste infatti in una mano che regge una piuma d'oca. Credo si trattasse di una persona che svolgeva attività di scriba, ma non ritengo che possa trattarsi di una professionalità di carattere noratile o avvocatizio. Penso piuttosto a persona che, sapendo leggere e scrivere, in tempi nei quali quasi tutti, compreso molti nobili, erano analfabeti, per vivere "scrivesse conto terzi". Ciò mi diverte, se penso che taluni LUPI, nell'epoca attuale, sono costretti ad esercitare la stessa "arte" onde rubare scintille al sole e alla fuggente luce della sopravvivenza.
Questi sono solo taluni degli elementi architettonici che ci parlano della nostra storia, leggibile nelle rughe di talune antiche case ormai cadenti, venerande come i solchi impressi nel volto dei nostri vecchi, veri e propri romanzi esistenziali: sempre ammesso che si sia in grado di leggerli!
Quella di Mario Perrotta, noto ingegnere di Avellino, è senza dubbio una delle menti creative e votate all’estetica più solide dell’intera provincia, che egli non manca mai di attraversare, nei suoi viaggi, giammai fermandosi all’epifania superficiale dei luoghi, ma andando a scavare, con il suo obiettivo fotografico e soprattutto con la sua sensibilità sottile, nei più negletti anfratti, onde portarne in luce le peculiarità uniche ed irripetibili ed offrire il proprio contributo alla loro valorizzazione. E tanto vale anche e soprattutto per Lacedonia, paese al quale è particolarmente legato. E proprio qui, nella nostra terra, egli ha compiuto l’ennesimo tour fotografico nella prima domenica di giugno, in compagnia degli inseparabili amici Antonello, Leonardo e Gerardo, per catturare le bellezze paesaggistiche dei nostri campi imbionditi dal grano maturo ed offrirle in dono all’occhio dei tantissimi amici di Lacedonia che vivono altrove.
LUPUS IN FABULA è felice di farsi tramite di tale nobilissimo intento.